In Filosofia, scienza e tecnica dal positivismo a oggi, Le Monnier 1953 Angiolo Maros Dell’Oro dedicava la terza parte all’epistemologia e agli sviluppi contemporanei della scienza e della tecnica: il capitolo ottavo si occupa della critica della scienza e inizia col titolo Introduzione all’epistemologia.
Nel primo titolo dell’ottavo capitolo di Filosofia, scienza e tecnica dal positivismo a oggi A. Maros Dell’Oro rilevava la tendenza degli studiosi ad attribuire alla critica interna della scienza la definizione di epistemologia: se l’uso anglosassone del termine riguarda la stessa gnoseologia o teoria filosofica della conoscenza, l’epistemologia è lo studio critico della scienza o filosofia della scienza: «Spunti e trattazioni di particolari problemi in argomento sono frequenti nella storia del pensiero. Basti ricordare i nomi di Platone, Aristotele, Occam, Bacone, Galileo, Cartesio, Leibniz, Kant. Ma per una trattazione sistematica dell’epistemologia intesa appunto come la disciplina che riflettendo sulla scienza ne indaga criticamente la struttura formale, gli scopi, le possibilità bisogna venire molto più vicino a noi» (pp. 121-122). A. Maros Dell’Oro rilevava la preparazione ottocentesca dell’epistemologia da parte di A. Comte, J. Stuart Mill, C. Bernard, H. Helmholtz: l’epistemologia si è storicamente configurata tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento: «Ne va fatto merito ad alcuni illustri studiosi come E. Mach, l’empiriocriticista, il fisico inglese K. Pearson (1857-1936), autore de La grammatica della scienza (1892), il francese H. Poincaré (1854-1912), grande matematico e fisico, autore di libri come La scienza e l’ipotesi (1902), Il valore della scienza (1905), Scienza e metodo (1909), che tanto hanno contribuito a diffondere l’interesse per questo genere di studi, lo storico della chimica E. Meyerson (1859-1933), polacco di origine ma francese di adozione, autore di Identità e realtà (1908) e La spiegazione nelle scienze (1921), il discepolo di H. Bergson E. Le Roy, matematico e filosofo, e altri minori. Anche l’Italia, nello stesso periodo, ha dato il suo contributo epistemologico con Giovanni Vailati (1863-1909) e specialmente con Federigo Enriques (1871-1946), matematico e storico della scienza greca, autore del bel libro Problemi della scienza (1906)» (p. 122). A. Maros Dell’Oro proseguiva sottolineando il continuo aumento degli studiosi di epistemologia dopo la prima guerra mondiale: già divenuti «legioni» gli studiosi di epistemologia erano per lo più scienziati interessati ai problemi critici per illuminare la propria disciplina: «Fra loro vanno ricordati i grandi fisici Max Planck (1858-1947), A. Einstein, A. S. Eddington (1882-1944), N. Bohr, L. de Broglie, W. Heisenberg, P. Dirac, E. A. Milne. Molto meno numerosi sono i filosofi… Ricordiamo Antonio Aliotta in Italia e L. Brunschvicg (1869-1944) in Francia» (p. 122).
Nel secondo titolo dell’ottavo capitolo di Filosofia, scienza e tecnica dal positivismo a oggi A. Maros Dell’Oro poneva l’accento su due grandi conquiste dell’epistemologia: 1) il superamento dell’idea realistica della scienza come descrizione o riproduzione fedele del mondo dell’esperienza e 2) la distinzione fra riassumere e spiegare i fenomeni: la prima conquista è il «beneficio maggiore finora realizzato dall’epistemologia… perché il minimo che fa lo scienziato è selezionare certi fenomeni o certi aspetti da altri, e poi spingere tale astrazione al massimo» (p. 123): il riconoscimento dell’astrazione scientifica e la consapevolezza della realtà scientifica come costruzione astratta sono epistemologicamente essenziali; essenziale è nella scienza la differenza rilevata dall’epistemologia tra le leggi di natura come generalizzazioni induttive dai dati osservati e le teorie come spiegazioni dei dati osservati elaborate ricavando per sintesi le ragioni del legame delle leggi di natura sui dati osservati.
Nel terzo titolo dell’ottavo capitolo di Filosofia, scienza e tecnica dal positivismo a oggi le leggi di natura erano da A. Maros Dell’Oro epistemologicamente ben considerate: le discussioni epistemologiche sulle leggi di natura hanno modernamente rinnovato il problema scolastico medievale degli universali o concetti: per i realisti le leggi di natura hanno esistenza reale oggettiva indipendente dal pensiero filosofico-scientifico umano, per i nominalisti le leggi di natura sono al contrario convenzioni definitorie simboliche nominali dipendenti dal pensiero filosofico-scientifico umano: «Ma non possiamo cambiare a volontà le leggi di natura, ed esigere che un sasso lasciato libero cada in una maniera diversa da quella trovata da Galileo. Di qui la terza teoria. La quale vede nella natura degli elementi simili che le leggi riassumono induttivamente in seguito all’osservazione di alcuni di essi. Lo scienziato… si ferma all’esperienza, e qui constata che vi sono elementi simili, riassumibili nelle leggi di natura» (p. 125). Secondo l’approssimazione scientifica empirica ai fenomeni è epistemologicamente modernamente definita la stessa questione della causalità nelle leggi di natura, diceva A. Maros Dell’Oro: è il «problema della regolarità e irregolarità, e cioè del simile e diverso, che l’esperienza rivela nei fenomeni… che solo interessa lo scienziato. Altro infatti è il perché, la causa per cui avvengono i fenomeni, e altro la regolarità del come avvengono» (pp. 125-126). Il criterio scientifico empirico della similitudine e diversità fenomenica e la conseguente distinzione della regolarità dei fenomeni dalla causalità ha portato alla moderna negazione epistemologica dell’assolutezza delle leggi di natura: «Le leggi di natura possono essere relative, e subire delle eccezioni» (p. 126): A. Maros Dell’Oro rilevava nella relatività delle leggi di natura la complementarità di leggi statistiche e leggi probabilistiche, per cui le leggi statistiche stabiliscono la tendenza generale dei fenomeni e le leggi probabilistiche determinano le eccezioni al regolare andamento fenomenico: «La stessa legge di gravità di I. Newton, che nella sua perfetta semplicità sembrava di una assolutezza eterna, ha dovuto crollare. Il fisico francese Perrin ha calcolato la probabilità che un sasso, lasciato libero, vada in su anziché in giù. Si tratta di un numero piccolissimo, una frazione che ha al denominatore 1 seguito da 10 miliardi di 0. Per cui il fatto che la legge di Newton sia probabilistica non interessa la scienza comune, e meno ancora la vita pratica. Ma è il principio che conta» (p. 126). A. Maros Dell’Oro concludeva il terzo titolo dell’ottavo capitolo ponendo l’accento sul passaggio dal probabilismo soggettivo della scienza ottocentesca al probabilismo oggettivo della scienza novecentesca: «La statistica non era dovuta che alla nostra ignoranza… La nuova scienza introduce una probabilità… Lo scienziato, nel formulare le leggi, prescinde dal diverso e considera solo il simile. Ma si tratta di una astrazione soggettiva, che non elimina la realtà del diverso. E difatti, quasi a ricordarcelo, ogni tanto quest’ultimo ci fa la sorpresa di un’eccezione parziale o completa alle leggi di natura da noi formulate» (p. 127).
Al valore della teoria scientifica è dedicato il quarto titolo dell’ottavo capitolo di Filosofia, scienza e tecnica dal positivismo a oggi: scriveva A. Maros Dell’Oro: «Il problema della teoria scientifica è indubbiamente il più importante e il più affascinante di tutta l’epistemologia» (p. 128): la teoria scientifica è epistemologicamente interpretazione dell’esperienza; alla questione gnoseologica dell’esperienza rimanda filosoficamente la questione ontologica dell’esistenza dei concetti ed enti teorici per spiegare l’esperienza: «Se le teorie scientifiche non portano più vicino alla realtà di quel che faccia l’esperienza, resta da spiegare perché mai ci affanniamo, spesso con grandi sforzi, a costruirle; e, in secondo luogo, se il modo con cui le costruiamo è suggerito dall’esperienza o è del tutto arbitrario» (p. 130). Per la conoscenza e la pratica, la spiegazione e la previsione, il pensiero razionale e l’economia concettuale la scienza costruisce teorie: con E. Meyerson la teoria è riduzione fenomenica del diverso all’identico e con Federigo Enriques i modelli teorici della realtà salvano i fenomeni come apparenze empiriche: A. Maros Dell’Oro rimarcava il convenzionalismo linguistico oggettivo di H. Poincaré col suo rilievo dell’ordine teorico convenzionale ma non arbitrario dei fatti empirici, per cui allo scienziato si deve la creazione non dei fatti bruti ma dei fatti scientifici teorici; teorico olistico è il convenzionalismo intermedio sostenuto da P. Duhem; al convenzionalismo estremo gli scienziati hanno replicato rilevando la suggestione dell’esperienza nella delineazione delle teorie. Le teorie scientifiche erano quindi da A. Maros Dell’Oro epistemologicamente paragonate ai possibili quadri del paesaggio dei fenomeni: «i quadri non sono del tutto soggettivi: rappresentano o, meglio, interpretano un paesaggio, e quindi, sia pure con più o meno libertà, vi si devono ispirare» (p. 135).
Nel quinto titolo dell’ottavo capitolo di Filosofia, scienza e tecnica dal positivismo a oggi A. Maros Dell’Oro proseguiva il discorso epistemologico passando bene dalla teoria scientifica alla matematica secondo filosofia e fondamenti, sviluppi e principi: «Il platonismo dei numeri… ha continuato ad avere fautori fino ai nostri giorni. Uno di essi era… il tedesco G. Frege (1848-1925)… Il platonismo delle figure ha invece ricevuto un grave colpo dalla scoperta delle geometrie non euclidee» (p. 135). Nel suo discorso epistemologico sulla matematica origine ed elaborazione di sistemi geometrici alternativi alla geometria euclidea erano da A. Maros Dell’Oro storico-criticamente ben rilevate: «Il cosiddetto quinto postulato di Euclide, secondo cui per un punto fuori di una retta si può condurre una parallela e una sola alla retta data, già nell’antichità non aveva convinto appieno, tanto che vi erano stati dei tentativi di dimostrarlo. La questione fu ripresa vigorosamente nel Settecento dal gesuita Gerolamo Saccheri (1667-1733), il quale, nel libro Euclides ab omni naevo vindicatus (1733), cercò di dimostrare il postulato per assurdo» (p. 135). Nell’età moderna la errata convinzione logica della assurdità contraddittoria della negazione del quinto postulato euclideo delle parallele aveva nel Settecento portato Girolamo Saccheri a credere che l’antico incerto quinto postulato di Euclide dipendesse dagli altri postulati euclidei e ne fosse quindi dimostrabile come un teorema: l’indimostrabilità del quinto postulato di Euclide e la conseguente reale possibilità della geometria non euclidea era concepita all’inizio dell’Ottocento dal principe dei matematici K. F. Gauss (1777-1855): con Gauss la geometria non euclidea era nella prima metà dell’Ottocento sviluppata da J. Bolyai (1802-1860) e N. I. Lobacevskij (1793-1856) come geometria iperbolica che all’unicità della parallela del quinto postulato della geometria parabolica euclidea sostituiva il postulato della infinità delle parallele ad una retta per un suo punto esterno del piano geometrico; la prosecuzione della storia delle geometrie non euclidee nell’Ottocento era da A. Maros Dell’Oro rilevata nella costruzione della geometria ellittica della nullità delle parallele esterne ad una retta da parte del grande matematico tedesco B. Riemann (1826-1866): «Più tardi un geniale discepolo di Gauss, B. Riemann, partendo dal postulato che dal punto non si possa tirare nessuna parallela alla retta, costruì una seconda geometria non euclidea» (p. 135).
Nel quinto titolo dell’ottavo capitolo di Filosofia, scienza e tecnica dal positivismo a oggi la considerazione dello sviluppo ottocentesco delle possibilità geometriche portava A. Maros Dell’Oro a precisi rilevi filosofici ed epistemologici: il platonismo filosofico matematico geometrico è ben interrogato dalla coesistenza delle tre coerenti ma alternative geometrie parabolica euclidea, iperbolica lobacevskijana ed ellittica riemanniana derivanti dall’alternativo postulato delle parallele rispettivamente unica, infinite e nessuna con i suoi rispettivi teoremi e le sue alternative conseguenze logiche: tre mondi geometrici alternativi dovrebbero rientrare nell’unico mondo ideale platonico perfettamente armonico. Nel chiarimento epistemologico della distinzione fra matematica pura e matematica applicata era da A. Maros Dell’Oro poi rilevato «uno dei più grandi progressi del pensiero contemporaneo (p. 136): la matematica pura è ipotetico-deduttiva e le sue ipotesi sono le premesse definitorie, assiomatiche, postulative dalle quali sono logicamente derivate le conclusioni come teoremi dimostrati: la matematica è intesa come pura in quanto si ritengono a priori o indipendenti dall’esperienza e dai fatti del mondo le deduzioni logiche formali necessarie e le stesse premesse razionali possibili del discorso ipotetico-deduttivo matematico: «Dire questo non significa che l’esperienza non abbia dato o non possa dare preziosi spunti… Del resto già lo stesso Platone aveva argutamente osservato che la geometria è l’arte di ragionare in modo perfetto su delle figure imperfette. La differenza tra il grande Ateniese e gli epistemologi d’oggi è che il primo ritrovava le perfette entità della matematica nel mondo delle Idee e i secondi le fanno invece nascere nella mente umana a mezzo di definizioni e convenzioni» (p. 137). L’espressione quantitativa di fenomeni, leggi di natura e teorie scientifiche rimanda invece alla matematica applicata: il concorso scientifico di matematica pura e applicata era da A. Maros Dell’Oro epistemologicamente sottolineato ponendo l’accento sul passaggio storico dall’empirismo geometrico di K. F. Gauss e N. I. Lobacevskij al convenzionalismo di H. Poincaré: «Gauss e Lobacevskij avevano pensato alla possibilità di decidere quale geometria segua la natura misurando un grande triangolo col vertice sulla Terra e gli estremi in due stelle e osservando se la somma dei suoi angoli fosse uguale, minore o maggiore di due retti. Ma Poincaré ha dimostrato che la natura non saprebbe mai dirci nulla in proposito. Supponiamo che dai calcoli sperimentali si trovi che effettivamente la somma degli angoli del triangolo è riemannianamente maggiore di due retti. Siccome nel mondo dell’esperienza i lati del triangolo corrispondono ai raggi luminosi che ci arrivano dalle due stelle, ci troveremmo di fronte a questa alternativa: o di attribuire la geometria di B. Riemann alla natura, oppure di conservarvi quella di Euclide e dedurne che nel tragitto dalle stelle a noi i raggi non sono retti ma curvi. Bastano queste considerazioni per capire che l’esperienza non ci dirà mai nulla sulla geometria» (p. 138). Il concorso scientifico di soggettività convenzionale pura e oggettività empirica applicata era da A. Maros Dell’Oro epistemologicamente rimarcato col rilievo matematico geometrico della relatività di estensione, misure e dimensioni spaziali fisiche: «La conclusione è chiara. La natura non solo non segue Euclide a preferenza di Riemann o viceversa, ma non segue nessuna geometria affatto» (p. 139). Nella consapevolezza del suo concorso scientifico combinato nell’interpretazione dell’esperienza era da A. Maros Dell’Oro epistemologicamente rilevato il superamento dell’idea della verità fisica della matematica secondo la confusione di matematica pura e applicata: l’efficacia scientifica della matematica non deve farci dimenticare la considerazione di A. Einstein in Geometria ed esperienza del 1921: «Le proposizioni matematiche in quanto si riferiscono alla realtà non sono certe, e in quanto sono certe non si riferiscono alla realtà» (p. 140). A. Maros Dell’Oro concludeva il quinto titolo dell’ottavo capitolo ribadendo il riconoscimento epistemologico che la razionalità scientifica teorica matematica appartiene all’uomo e non alla natura ed è quindi da sola incapace di portarci alla realtà: «… la natura… reagisce alla nostra pretesa di imporle i nostri astratti schemi matematici» (p. 142): «… non esiste una geometria applicata più vera di un’altra ma solo una più facile, più efficace o, come dice anche qui H. Poincaré, più comoda di un’altra, nel senso appunto che la natura, o un suo settore particolare, si presta più ad esser trattata con essa che con un’altra geometria… L’abilità dello studioso della natura sta infatti nel saper scegliere lo schema geometrico che meglio riesce ad esprimere i fenomeni da lui studiati… I pregi di… razionalità della matematica pura diventano preziosi… per costruire le teorie scientifiche. Un’equazione ad esempio può riassumere interi mondi di fenomeni… così solo la matematica sa darci un’idea del mondo interno di un atomo… Ma forse la meraviglia maggiore della matematica applicata è che in alcuni casi essa consente di anticipare la stessa esperienza. J. C. Maxwell ha trovato a priori, dall’esame delle equazioni matematiche di certi campi elettromagnetici, i primi suggerimenti della sua grande teoria elettromagnetica della luce, che solo molti anni più tardi H. Hertz doveva confermare sperimentalmente… In analoghe circostanze di orientamento matematico nella complessità dei fenomeni del mondo P. Dirac ha predetto l’elettrone positivo, che più tardi l’esperienza ha trovato» (pp. 140-141).
Il sesto e ultimo titolo dell’ottavo capitolo di Filosofia, scienza e tecnica dal positivismo a oggi è dedicato al neoempirismo o empirismo logico o positivismo logico o neopositivismo: A. Maros Dell’Oro rilevava le premesse storiche della approssimazione logico-linguistica neopositivistica alla scienza e alla filosofia: secondo il modello logico-matematico di G. W. Leibniz nel Seicento le costruzioni logiche di sistemi linguistico-concettuali perfetti corrispondono storicamente all’esigenza culturale filosofico-scientifica di ogni tempo di precisione linguistica non ordinaria; dalla metà dell’Ottocento con A. De Morgan (1806-1871), G. Boole (1815-1864), S. Jevons (1835-1882) e C. S. Peirce (1839-1914) lo sviluppo della logica matematica contemporanea supera i limiti sostanzialistici della logica di Aristotele e all’inadeguatezza relazionale della logica aristotelica soggetto-predicato oppone il rigore logico analitico matematico e la precisione linguistico-concettuale scientifica; dall’Ottocento al Novecento dal contributo logico-matematico fondazionale e notazionale di G. Frege (1848-1925) e Giuseppe Peano (1858-1932) si giunge ai Principi della matematica (1903) di B. Russell (1872-1970) e ai Principia mathematica (1910-13) di B. Russell e A. N. Whitehead (1861-1947): «In essi viene pure ripreso il tentativo di Leibniz di dimostrare che la matematica sarebbe interamente riconducibile alla logica» (pp. 142-143). Al discepolo di B. Russell L. Wittgenstein (1889-1951) è quindi nel Novecento dovuta la piena valorizzazione dei metodi logici matematici: al “primo Wittgenstein” del Tractatus logico-philosophicus del 1921-22 appartiene l’idea scientifica empirica di costruire un linguaggio logicamente perfetto: come mediatore nello sviluppo della filosofia come analisi logica del linguaggio il primo Wittgenstein influisce sull’empirismo logico di M. Schlick (1882-1936): ecco nel Novecento il neopositivismo come conclusione delle premesse storiche della sua approssimazione logico-linguistica alla scienza e alla filosofia, e del neopositivismo A. Maros Dell’Oro scriveva: «Wittgenstein si riattacca, per molti e molti fili, alla cosiddetta Scuola di Vienna, o scuola del rigore logico come è stata pure chiamata, fondata nel 1928 da M. Schlick e illustrata da numerosi rappresentanti, fra cui emergono R. Carnap, O. Neurath, P. Frank. Un movimento analogo sorge a Berlino con H. Reichenbach. Infine alla Scuola di Vienna, oggi diventata la Scuola di Chicago, si ispirano studiosi negli Stati Uniti, in Inghilterra, Polonia e Italia (Ludovico Geymonat)» (p. 143). Del neopositivismo A. Maros Dell’Oro sottolineava l’antimetafisica basata sul criterio logico ed empirico di significanza conoscitiva e la definizione convenzionale dei presupposti teorici del sapere e della scienza: in quanto fondata su logica ed esperienza la scienza era dai neopositivisti così considerata l’unico vero sapere da voler identificare la stessa filosofia colla logica della scienza: è la logica della scienza la disciplina per stabilire se giudizi, affermazioni, proposizioni, enunciati siano dotati o privi di senso conoscitivo e il criterio di senso conoscitivo è neopositivisticamente la verificabilità di principio per la quale il significato di una proposizione è il suo metodo di verificazione e rimangono escluse le inverificabili e quindi insensate proposizioni metafisiche: «Ora, per i neopositivisti, tutte le proposizioni della metafisica sono senza senso. Per quanto si cerchi in tutti i modi di trasformarle o di integrarle con ciò che mancava, esse non sono mai riconducibili a proposizioni tali che l’esperienza possa stabilire se sono vere o false… le proposizioni metafisiche sono inverificabili e quindi senza senso per principio, e di conseguenza vanno tutte rigettate» (pp. 143-144).