Il Novecento, H. Bergson e lo spiritualismo

Il Novecento

Il ’900 è secolo di grandi trasformazioni socio-economiche e politiche: straordinario successo del capitalismo, colonialismo francese, inglese, tedesco, liberalismo nazionale europeo in crisi, irruzione sulla scena internazionale di Stati Uniti e Giappone, Rivoluzione russa del ’17 e primo Stato socialista reale, poi crisi finanziaria del ’29, sviluppo di fascismo e nazismo, le 2 guerre mondiali, la cosiddetta guerra fredda, emergere delle potenze asiatiche, poi delineazione di nuovi scenari nazionali e internazionali.

Alle trasformazioni socio-economiche e politiche si accompagnano le incertezze sui valori e sulla visione del mondo tradizionale: i dubbi della crisi culturale otto-novecentesca si riverberano in letteratura, arte e musica, che dal simbolismo all’astrattismo e all’atonalismo ben esprimono tutti i tormenti e le inquietudini della nuova epoca; gli sviluppi delle scienze umane preparano altresì una nuova immagine dell’uomo, della società e della storia ed offrono teorie e nuovi strumenti interpretativi della realtà.

Agli sviluppi delle scienze è legata la crisi del meccanicismo e del positivismo che porta all’affermazione novecentesca della bancarotta della scienza: la dichiarazione del fallimento della scienza si inquadra bene nella reazione filosofica allo ottimismo positivistico e alla “religione” positivistica della scienza; ma tuttavia con lo scientismo positivistico col suo culto e colla sua fiducia incondizionata nei confronti della scienza correnti filosofiche novecentesche hanno però attaccato frontalmente la stessa scienza, promuovendo nei riguardi di quest’ultima una rivolta neoromantica sfociata in una vera e propria requisitoria che ha così chiamato in causa gli stessi protagonisti della Rivoluzione scientifica del Cinque-Seicento con la quale ben nasce la scienza moderna, rifacendo il processo a Galileo con accuse in questo senso più gravi delle accuse che appunto a Galileo Galilei rivolse il Sant’Uffizio.

La reazione alla scienza è già all’origine dello spiritualismo francese dell’Ottocento: lo spiritualismo ben si sviluppa in Francia nella prima metà proprio dell’Ottocento.

Bergson e lo spiritualismo

Alla reazione al Positivismo è ben legato lo sviluppo francese ottocentesco dello spiritualismo: verità e valori sono intuitivamente evidenti alla coscienza nella introspezione; e spiritualistica è la affermazione della libertà umana estensibile alla stessa apparentemente assoluta necessità naturale, per cui al determinismo e meccanicismo positivistico Emile Boutroux (1845-1921) ben opponeva il contingentismo delle leggi naturali la cui necessità è direttamente proporzionale alla astrazione (La contingenza delle leggi della natura, 1874).

Il maggior esponente dello spiritualismo è Henri Bergson, pensatore francese nato nel 1859 e scomparso nel 1941. Per H. Bergson i dati immediati della coscienza non sono positivisticamente quantificabili come i fenomeni fisici: la coscienza o spirito è un flusso continuo di momenti legati il cui tempo è durata reale mediata dalla memoria in cui ogni istante è qualitativamente diverso; al tempo come durata si oppone così il tempo spazializzato della scienza e della vita pratica fatto di istanti qualitativamente uguali che si succedono omogenei e si distinguono solo per l’ordine misurabile di giustapposizione.

Nella durata continua della coscienza Bergson vedeva sostanzialmente un processo unico in cui non sono isolabili momenti in rapporto causale. Alla distinzione tra durata reale e tempo spazializzato  corrisponde poi in Henri Bergson la distinzione tra intuizione e intelligenza: è la intuizione lo strumento della metafisica, ed è la sola a poter cogliere l’essenza della realtà ed appunto la durata reale spirituale; l’intelligenza è ben adeguata esclusivamente alla scienza e alle esigenze concrete della vita, ma rimane “esterna” alle cose e non ne penetra l’intima natura come invece accade nella immedesimazione intuitiva del soggetto coll’oggetto.

Come organo teoretico metafisico il quale coglie la essenza del reale la intuizione rivela per Bergson il carattere autentico del mondo nello slancio vitale: lo slancio vitale è il principio spirituale di tutte le cose che si fa inerte materia nell’ostacolo alla propria espansione, e quindi l’universo intero è libera evoluzione creatrice; lo slancio vitale è così alla base dell’evoluzione cosmica quale «azione che continuamente si crea e si arricchisce», e dunque la vita naturale cresce per la costante creazione di forme e per la imprevedibile invenzione di modalità di sviluppo.

L’evoluzionismo spiritualistico di Henri Bergson prende in sostanza le distanze sia dal determinismo meccanicistico che dal finalismo e reagendo al positivismo enfatizza l’assoluta spontaneità della realtà nella sua esplosione creativa: la vita è sforzo continuo di liberazione dalla materia inerte, e biologicamente l’organico sa nelle piante ben riassorbire la energia vitale dell’inorganico passandola dal Sole agli animali con la fotosintesi clorofilliana; proprio la fotosintesi mostra bene la vitalità e la forza della apparentemente passiva materia del regno minerale, per cui acqua e anidride carbonica possono colla luce solare nel regno autotrofo vegetale tradursi in ossigeno e in glucosio alimentando coll’organicazione del carbonio il regno eterotrofo animale secondo la reazione fotosintetica di una molecola di gluscosio e sei molecole di ossigeno da 6 di acqua e 6 di anidride carbonica.

Il mondo vegetale appare più materialmente bloccato ma media però la novità del mondo animale: la natura si proietta per H. Bergson in sempre nuove direzioni e nella sua creatività affianca così ai poco evoluti molluschi la gamma dei sempre più complessi vertebrati evolutisi fino allo stesso uomo; e la novità dell’uomo è l’intelligenza, che evolutivamente supera l’efficiente ma rigido istinto rendendoci capaci di strumenti artificiali per la sopravvivenza e articolandosi nelle due forme dell’intelletto e dell’intuizione.

L’uomo è il punto più alto della evoluzione naturale: l’uomo non è unicamente intelligenza, perché con intelletto e intuizione compare nell’uomo la coscienza, ed esattamente per la coscienza di sé o autocoscienza l’uomo è spirito; accanto allo spirito c’è naturalmente però per l’uomo il corpo, e così Bergson può esprimere i 2 estremi dello spirito e del corpo come rispettivamente memoria e percezione e può affrontare il dualismo mente-corpo col suo correlato libertà-necessità quale problema del rapporto tra “memoria” e materia, e Materia e memoria si intitola uno scritto bergsoniano del 1896. E’ la memoria per Bergson il vero carattere della coscienza, è la memoria a conservare la identità dell’individuo ed a tenere le fila della singola mente; il cervello limita invece la memoria e fa da trait-d’union tra la mente e il corpo collegandoli nella percezione e nella volontà.

La volontà è il presupposto della azione, e quindi per Henri Bergson il cervello è un centro d’azione che concentra la memoria sul presente per rispondere ai bisogni umani concreti; lo spirito trascende tuttavia corpo e cervello e ci proietta nel futuro secondo lo “slancio vitale” naturale.

La natura stessa ha per Henri Bergson portato l’uomo alla evoluzione sociale: la società antica è chiusa e statica, e chiusa ne è ben la morale e la religione che mirano a conformare l’individuo al contesto sociale per la sopravvivenza sociale stessa; la scienza con il suo carattere piuttosto economico che teoretico e l’industrialismo moderno aprono invece col cristianesimo alla società aperta democratica.

All’intellettualismo e allo scientismo positivistico era spiritualisticamente opposto lo stesso volontarismo cristiano di Maurice Blondel (1861-1949): con la sua filosofia dell’azione: la coscienza o spirito è volontà o azione e fonte di valori etico-religiosi.

Se con George Sorel (1847-1922) finiva bene nell’irrazionalismo, con Gabriel Marcel (1889-1973) e poi con Emmanuel Mounier (1905-1950) lo spiritualismo francese si faceva rispettivamente esistenzialismo e personalismo.